La pressione di lavorare per altre persone è un fenomeno che può coinvolgere numerose categorie di lavoratori, dagli infermieri agli avvocati, dagli educatori agli operatori socio sanitari. Essa a volte può dare origine alla cosiddetta sindrome del burnout, una conseguenza di un eccesso di stress che costituisce una vera e propria patologia. Ne abbiamo parlato con uno psicologo di Firenze, il Dott. Giorgio Ioimo, stress e ansia sono un male comune in tutti i lavoratori, questa patologia rischia di deteriorare non solo la capacità di adattamento al lavoro, ma anche le emozioni positive che sono correlate alla mansione che si svolge e l’impegno nei confronti dell’attività in cui si è impegnati.
Gli effetti della sindrome del burnout
Nel momento in cui tutti questi fattori si combinano gli uni con gli altri, il soggetto che li patisce ha a che fare con una situazione di profondo disagio sia dal punto di vista psicologico che a livello fisico (con dolori articolari), tale da poter provocare un esaurimento mentale ed emotivo, ma anche un mutamento della personalità e una depressione vera e propria. La sindrome del burnout è tipica di chi svolge un’attività di carattere assistenziale, come quella degli assistenti sociali, dei medici, degli infermieri, degli ASA o degli OSS, anche se può coinvolgere professionisti di altri settori come i consulenti fiscali e gli avvocati.
Chi è colpito dalla sindrome del burnout
“La sindrome – mette in evidenza il Dott. Ioimo – può riguardare tutti coloro che si fanno carico dei disagi delle persone che si trovano in difficoltà o che soffrono, per ragioni differenti. I lavoratori finiscono per riversare le sofferenze altrui su sé stessi, e così non sono più in grado di gestirle”. La sindrome del burnout si può articolare in fasi differenti. Se in un primo momento si è contenti, se non addirittura entusiasti, di aver optato per una professione che consenta di aiutare le altre persone, in un periodo successivo subentra una sorta di stagnazione: il lavoratore, infatti, si rende conto di dover sostenere un eccesso di stress e un carico esagerato. La presa d’atto della differenza tra le aspettative e la realtà dei fatti comporta un calo dell’entusiasmo e una riduzione del senso di appagamento.
Come si evolve la sindrome del burnout
Dopo l’entusiasmo iniziale e la successiva stagnazione, la sindrome del burnout si caratterizza per un momento di frustrazione, nel corso del quale ci si sente non adeguati e insoddisfatti, ma anche sfruttati e inutili. Così, si comincia a maturare nei confronti del lavoro che si svolge una scarsa riconoscenza, che si accompagna al desiderio di evitare il posto di lavoro e a un aumento dell’aggressività. Infine, arriva la fase dell’apatia, che assume le caratteristiche di una vera e propria indifferenza: la passione e l’interesse per il lavoro sono stati smarriti.
Quali sono le conseguenze della sindrome?
Il Dott. Ioimo è netto: “Nel caso in cui la sindrome del burnout non venga affrontata con la necessaria tempestività, gli effetti psicologici che ne possono derivare sono molto gravi, fino alla perdita di personalità e all’esaurimento emotivo”. Tra le altre conseguenze ci sono una perenne sensazione di insoddisfazione e di frustrazione, il desiderio di scappare dal luogo di lavoro e la totale assenza di empatia verso coloro a cui ci si dovrebbe dedicare. Oltre alla perdita di entusiasmo, il soggetto avverte di non sentirsi più realizzato, né dal punto di vista professionale né a livello personale. Ovviamente, tali effetti psicologici hanno ripercussioni evidenti sul fisico, sotto forma di insonnia, di tachicardia, di mal di testa, di mal di stomaco e di depressione. Nel momento in cui la sindrome degenera, dunque, diventa a tutti gli effetti una patologia invalidante.
Lo stress è una malattia?
Di per sé disturbi d’ansia e in particolare lo stress , almeno per il momento, non è riconosciuto come patologia: si è in presenza di una malattia professionale unicamente nel momento in cui il carico di lavoro eccessivo causa danni che si traducono in effetti fisici e psichici. Il disturbo depressivo maggiore e l’esaurimento nervoso determinano un’invalidità, vale a dire una diminuzione della capacità di lavorare. Le tabelle riconoscono percentuali di invalidità diverse a seconda delle caratteristiche della sindrome depressiva o della nevrosi di cui si soffre, ma altri disturbi possono incrementare tali percentuali (per esempio, problemi di cuore, disturbi al fegato o colite ulcerosa). Una prestazione assistenziale può essere riconosciuta quando viene dimostrata e verificata una diminuzione della capacità lavorativa.